Quando si dice cultura

Da parecchie persone la parola cultura viene usata in maniera impropria e a volte per dare l’impressione di possedere una qualche nozione che viene propinata impropriamente per cultura. Per sgomberare il campo da equivoci sempre in agguato soprattutto nei vari “canali” telematici frequentati da milioni di persone, chiariamo che per noi la cultura non è solo quella che si apprende dai libri. Anche l’uomo preistorico possedeva una cultura che gli ha permesso di vivere e di inventare l’agricoltura, che pare sia una “trovata” dalle donne, e il concetto di comunità, come ci ha descritto Pietro Lotito nel suo romanzo “DI FRECCIA E DI GELO”. Non si diventa colti perché si leggono tanti libri. Si possono mandare a memoria intere biblioteche, rimanendo privi di cultura. Per definirsi colti è indispensabile sapere coordinare le nozioni apprese, applicandole concretamente alla realtà nella quale si vive. Possiamo definire colta anche la persona che pur non avendo studiato molto si affida a chi può risolvergli i problemi che via via deve affrontare. A questo proposito è facile pensare a Napoleone e a Pietro Nenni. Napoleone era una graduato dell’esercito. Nonostante i suoi immancabili errori e le sue debolezze, ha lasciato traccia di sé nella storia perché ebbe l’intelligenza e la lungimiranza di farsi supportare da persone capaci ed esperte in varie discipline. Pietro Nenni, che possedeva solamente una licenza di scuola elementare, come si chiamava una volta la scuola primaria di primo grado, non fu nominato presidente del consiglio dei Ministri a causa di un veto venuto da una grande potenza estera. Ciò non vuol dire che tutti coloro che sono caporali o che possiedono la “licenza elementare” abbiano le qualità per diventare imperatori, presidenti del consiglio, ministri o amministratori di città. Invece assistiamo a recite nelle quali chiunque scrive e parla di tutto, soprattutto quando ignora completamente la materia di cui vuole apparire esperto. Questi sono i leoni da tastiera e da esiti di urna elettorale. In Fb e a volte ricoprendo cariche pubbliche, accade che molte persone, che hanno poche frecce culturali nella faretra, si improvvisino conduttori di dibattiti, giornalisti, presentatori, ingegneri, architetti, giuristi, geometri, agronomi, botanici, fontanieri, camionisti, giardinieri, idraulici, chierichetti incensanti con turibolo fumante, pensando che tutti debbano dare credito alle loro argomentazioni pseudoculturali. Dispiace costatare che i giovani restano tagliati fuori dalla cultura che conta e che forma, perché viviamo di notizie false e di nozioni pseudoculturali, che vendiamo per vere alle nuove ed inesperte generazioni. Assistiamo inermi (?) ad un vero infanticidio e, forse, non ce ne accorgiamo. O non vogliamo aprire gli occhi perché presi da ben altri “interessi”. Siamo fottuti, ma forse c’è ancora una speranza, come recita il titolo di un libro di Mark Manson. Noi ci ostiniamo a pensare che ci sia ancora una speranza in questa prima frazione di XXI secolo. La speranza di potere fare assaggiare un “altro” sapore della vera cultura ai giovani, dopo la regolare frequenza della scuola, che è vincolata ai programmi ministeriali e dalla parcellizzazione dell’insegnamento. I giovani devono essere i protagonisti e gli attori della loro crescita culturale. Opportunamente stimolati.

Carmine Granato

Tags: